Il 2016 (finalmente) se ne va

Si avvia alla fine questo 2016: un anno sicuramente complicato che ricorderemo per gli eventi certo non esaltanti che lo hanno caratterizzato, a partire dai tanti lutti che hanno funestato il mondo della cultura, del teatro, del cinema e della musica: Umberto Eco, Dario Fo, Gene Wilder, David Bowie, Keith Emerson, George Michael e tanti altri non ci sono più: se ne sono andati tutti nel corso di questi dodici mesi. Erano presenze costanti e per certi versi rassicuranti sullo sfondo delle nostre esistenze; la loro perdita ci ha tolto qualcosa, ci ha fatto sentire più fragili di quanto già non ci sentissimo; e anche un po’ più soli.

Altri eventi hanno alimentato il senso di insicurezza e di precarietà che da tempo, oramai, è la costante delle nostre vite: alcuni, come i terremoti, sono imprevedibili e superiori alle nostre capacità di previsione ma altri, come le guerre e il terrorismo religioso e politico, possiamo ascriverli solo alla nostra ineffabile stupidità.

Dal (finto?) colpo di stato in Turchia e dalla conseguente, spietata repressione, alle guerre più o meno dimenticate in Siria, Libia e Yemen; dall’assassino vile e senza senso di Giulio Regeni in Egitto, alle stragi di Nizza e poi ancora di Berlino, ai profughi mandati ad annegare nel Mediterraneo; dalla lista di neri uccisi negli USA da poliziotti dal grilletto facile ai tanti femminicidi perpetrati qui, nella nostra Italia, la voglia di sangue della belva umana, per citare Francesco Guccini, non ha conosciuto, nemmeno quest’anno, un momento di sazietà.

Altri eventi offrono chiavi di letture meno univoche.

L’Inghilterra ha deciso di lasciare l’Unione Europea e di tornare a considerarsi, nel suo splendido isolamento, una grande potenza mondiale (sic dixit la premier May nel suo discorso di fine d’anno). Per il momento, intanto, la tira per le lunghe e, pur volendo lasciarla, dell’Unione cerca di tenersi tutti i vantaggi che le dà. Negli Stati Uniti, dopo gli otto anni del nero Obama, gli elettori hanno consegnato lo scettro del comando all’arancione Trump. Dal prossimo 24 gennaio gli USA – e il mondo – dipenderanno dagli umori di quest’uomo che valuta i suoi simili dalla consistenza del loro conto in banca, dalla loro religione e dal colore della loro pelle. Staremo a vedere.

Qui in casa nostra l’esito del referendum del 4 dicembre, catastrofico per il Matteo Renzi capo del governo, è stato pur sempre una dimostrazione della vitalità della nostra democrazia, tenuto conto della massa di gente che è andata a votare. Che non tutti (votassero SI o NO) sapessero esattamente per cosa votavano, e che tutti quelli che lo sapevano lo facessero proprio per i quesiti referendari, è un sospetto legittimo; ma non stiamo a cercare il pelo nell’uovo.

Ci sono state anche le elezioni amministrative, ben poco gratificanti per il Matteo Renzi segretario del PD, ma – almeno sul momento – esaltanti per il M5S. Meno esaltanti, in particolare se si guarda a Roma, sono diventate cammin facendo, per Beppe Grillo e gli aficionados del suo partito, per via delle vicissitudini che hanno afflitto la giunta Raggi: vicissitudini dalle quali è emersa la constatazione, ovvia per molti ma deludente per molti altri, che la patente di onestà non basta vantarla per possederla e che per fare politica, comunque, non basta l’onestà: ci vogliono anche competenza, oculatezza nella scelta dei collaboratori, progetti fattibili,  idee praticabili e la capacità di realizzarli.

Dunque, bagno di umiltà per il PD e di concretezza per il M5S: per l’uno e per l’altro, si auspica, una possibilità di crescita, e una lezione di consapevolezza di quanto il mondo sia complicato e pieno di sfumature. E anche cattivo.

L’ultima (speriamo) tragedia di questo annus horribilis è la sciagura dell’aereo russo che è precipitato nel Mar Nero portando con sé, fra gli altri, il Coro dell’Armata Rossa: un coro che, Putin o non Putin, era un magnifico ensemble musicale. Un’altra perdita irreparabile per il lato luminoso dell’umanità.

La misura di quanto i nostri tempi siano stranianti sta anche nel fatto che tutti aspettiamo che di quell’aereo siano recuperate le “scatole nere”, e incrociamo le dita in attesa che vengano poi decifrate, sperando che dicano che la sciagura è dovuta a errore umano o guasto tecnico. Così potremo  dire: sì, ci sono stati un centinaio di morti; però è stato solo un incidente, non  un attentato. E, tirando un sospiro di sollievo, potremo allora dirci che in fondo, tutto sommato, stavolta è andata bene.

Giuseppe Riccardo Festa

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