Fioriere, vitalizi, quisquilie e pinzillacchere

Ero direttore amministrativo della filiale di Parigi, quando un nuovo direttore generale entrò in carica, a Roma, nella mia banca. Di modi spicci e burberi, l’alto dirigente aveva le idee chiare: la banca aveva bisogno di essere rifondata e completamente rimodernata. Soprattutto, i costi erano eccessivi: bisognava ristabilire, nella gestione, criteri di austerità e di economicità.

Fu così che, poiché l’ora era suonata, egli prese una serie di decisioni irrevocabili: per prima cosa, furono rimosse da tutte le filiali le piante ornamentali. Poi fu chiuso un tunnel che, passando sotto via Veneto, metteva in comunicazione i palazzi della direzione generale e della direzione dei servizi internazionali.

Orgoglioso di queste fiere iniziative, il direttore generale diramò poi istruzioni a tutte le filiali affinché si badasse a spegnere la luce quando si usciva da una stanza e si chiudessero i rubinetti dopo essersi lavati le mani; e basta con le sponsorizzazioni, basta con i sussidi, basta con tutto, anche le famose agende che una volta le banche regalavano ai clienti.

Poi accadde che, in una filiale minuscola degli Stati Uniti, uno dei suoi beniamini (la filiale faceva grandi utili!) si mise a giocare al grande banchiere e a finanziare (forse fu usato dalla CIA) la guerra di Saddam Hussein agli Ayatollah iraniani. Quando la guerra finì, si scoprì che quel beniamino aveva inguaiato a tal punto la banca che la medesima, già settima nel mondo per importanza, fu commissariata, ridimensionata e umiliata, e alla fine fu acquisita da una banca francese.

La triste vicenda di quella banca mi viene in mente ogni volta che sento i paladini della nuova politica tuonare contro i costi di quella vecchia, a partire dai famigerati vitalizi dei parlamentari.

Poco importa che quei vitalizi, in realtà, siano stati già aboliti dal 2013 e che da allora nessuno, lasciando il seggio di deputato o di senatore, ne gode più. Poco importa che quelli in godimento, in base a un sacrosanto principio giuridico, non siano aggredibili, trattandosi di diritti acquisiti (già la Corte Costituzionale si è espressa in proposito): quello che conta è agitare la bandiera della durezza e della purezza e alimentare l’antipatia della gente verso “la casta”.

Beninteso: a nessuno fa piacere che ci sia gente che si gode profumate prebende a seguito di attività parlamentari spesso di scarsa durata e ancor minore utilità; ma è pur vero che da un lato quello dei diritti acquisiti è un territorio terribilmente viscido (si comincia dai vitalizi, e poi si passa alle pensioni, e poi agli stipendi, e poi a diosache), e dall’altro la vera incidenza di quei vitalizi sul bilancio dello Stato è irrisoria, se non infima, e fisiologicamente destinata a scemare fino a svanire nel nulla.

Io non mi scandalizzo per l’entità delle remunerazioni dei parlamentari. Se mai, mi scandalizzo per la scarsa entità della loro effettiva presenza in parlamento, per gli assenteismi ingiustificati, per l’inerzia di troppi di loro, per l’ingiustificabile subordinazione dell’attività legislativa a quella professionale di alcuni, ad esempio l’avvocato Ghedini, per l’inqualificabile subordinazione della loro libertà e autonomia alla volontà del partito o di chi per esso, che è un tradimento della Costituzione.

I parlamentari devono essere pagati bene perché non devono avere preoccupazioni, o altrimenti la politica attiva tornerà ad essere territorio esclusivo di chi se la può permettere. Un parlamentare pagato poco, se non è ricco di suo, è un parlamentare più facilmente corruttibile o almeno influenzabile.

A me non interessa niente dei vitalizi dei parlamentari. A me interessa sapere cosa si vuole fare per riorganizzare la macchina dello Stato e renderla efficiente, cosa si pensa di fare per far cessare la vergogna dell’evasione fiscale, per dare lavoro (non redditi a sbafo) a chi non ce l’ha, per adeguare le infrastrutture del Mezzogiorno a quelle di un Paese civile, per ridare dignità e valore alla scuola, per ridurre l’imposizione fiscale e insieme il debito pubblico, per risanare il territorio, per preservare e valorizzare il patrimonio culturale.

Vorrei che certi febbrili ed indignati masanielli, che tanto vanno di moda oggi, offrissero risposte, preferibilmente credibili e circostanziate, a questi problemi e la piantassero di agitare davanti al naso della gente la bandierina delle quisquilie e delle pinzillacchere.

Ma il sospetto, ahimè, è che se parlano sempre e ossessivamente soltanto di quisquilie e di pinzillacchere è perché i problemi seri non solo non sanno come risolverli: non hanno nemmeno idea di cosa siano.

Giuseppe Riccardo Festa

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