E se i nostri antenati si fossero limitati a fare solo cose utili?

Dopo le delizie del festival di Sanremo ho avuto bisogno di un po’ di tempo per riprendermi, e questo giustifica presso miei ventiquattro lettori il lungo silenzio che ha fatto seguito alle mie cronache dell’’evento.

Eccomi dunque di ritorno, stimolato a farlo non tanto dai recenti fatti politici e di cronaca, per avvilenti, preoccupanti o deprimenti essi siano –- fra parlamentari misogini, mariti di parlamentari (parlamentari donne, ovviamente) che vanno con le ragazzine, minacce di guerra in Crimea, aumenti di tasse che, si dice, serviranno a ridurre le tasse – quanto proprio dalla necessità di ritrovare, nel bailamme che ci circonda, qualche saldo punto di riferimento e qualche motivo di ottimismo.

Mi sono così reimmerso nelle mie attività preferite: l’’ascolto della musica e la lettura. Qualcuno potrebbe dire che così fuggo dalla realtà; io preferisco dire che cerco, ogni tanto, una via di fuga dalla realtà che tanto, poi, mi riacchiappa lo stesso. Qualcun altro potrebbe dire che delle mie fughe – o vie di fuga – dalla realtà non potrebbe fregargliene di meno, e avrebbe pure ragione. Se non che queste vie di fuga potrebbero servire anche a lui, e allora cessano di essere una faccenda personale per diventare qualcosa di utile a tutti.

Le letture, dicevamo. Fra le varie cose che ho avuto modo di leggere in questi giorni ce n’’è una, appunto, che mi sento di proporre all’’attenzione dei miei soliti ventiquattro lettori. Ne sono debitore al mio amico Michelfranco, a proposito del quale mi concedo una piccola digressione. Io vivo a Macerata e lui a Bricherasio, un paesino piemontese a sud di Torino. Siamo amici dall’’ormai lontano 1986, quando a Parigi lavoravamo insieme e, soprattutto, insieme facevamo scorribande notturne nella Ville Lumière (le famiglie non ci avevano ancora raggiunto). A caccia di avventure galanti? Macché: recitando versi, cantando arie d’’opera, disquisendo di massimi sistemi.Da allora ci capita spesso, se l’’uno scopre un libro interessante, non solo di segnalarlo all’’altro, ma anche di comperarne una copia in più per spedircela.

È appunto questo che è successo quando Michelfranco ha scoperto L’’INUTILITÀ DELL’’INUTILE, di Nuccio Ordine (Bompiani, 2013). La lettura di questo agile libricino mi ha gratificato tanto più in quanto afferma un principio che, nel mio piccolo, anche io vado predicando fin da quando, anni fa, cominciai a parlare di letteratura e varie amenità alle Università della Terza Età qui dei dintorni. E cioè che la peggiore sciagura che possa capitare in un consorzio umano è di concentrarsi soltanto sulle cose utili, trascurando quando non disprezzando le altre, quelle che non producono reddito: roba come la poesia, la filosofia, la letteratura, il teatro, la musica.

Ahimè, anzi, ahinoi, purtroppo è proprio quello che sta accadendo nel nostro mondo. Un signore che a lungo è stato capo del governo, nel nostro Paese, ha enunciato ufficialmente il principio secondo il quale la cultura classica e i suoi valori non contano nulla quando ha dichiarato che nelle scuole devono contare le famose tre I. Conoscendo il personaggio, lì per lì mi venne in mente che intendesse “Io, io, io”. Invece voleva dire “Inglese, Informatica, Impresa”.

Sia ben chiaro: non sto dicendo -– e non lo dice nemmeno Nuccio Ordine -– che queste cose non bisogna studiarle: la nostra esistenza ha bisogno di essere sostenuta prima di tutto materialmente, e gli studi tecnici sono indispensabili per poter sostenere una società ed i suoi membri.

Però non bastano. Nel governo di quel signore c’’era un ministro che testualmente dichiarò che “con la cultura non si mangia” e tagliò i fondi al suo collega dei Beni Culturali. Altri ministri di quello stesso signore hanno ridotto le ore di studio umanistico dei programmi scolastici, ridimensionando ad esempio lo studio della Storia e quasi abolendo quello della Storia dell’’Arte, perfino nei licei.

E invece, viceversa, sarebbe necessario introdurre anche negli istituti tecnici lo studio della filosofia, della musica e la conoscenza delle belle arti; oltre, come già ho segnalato in passato, ad introdurre la conoscenza della nostra Costituzione.

Cose inutili? Certo, se si guarda a un ritorno esclusivamente materiale e immediato. Ma cosa dovranno diventare i ragazzi che frequentano la scuola? Semplici tecnici? Pezzi di ricambio per l’’industria, materiale umano anziché meccanico? E quale consapevolezza di sé avranno, se saranno deprivati delle conoscenze che danno la possibilità di scegliere e decidere autonomamente in ogni campo, che si tratti di votare, di andare a un concerto o a teatro, o di credere o non credere in Dio?

Il libro di Nuccio Ordine affronta proprio questo tema e lo fa in maniera appassionata e appassionante ricordando quanto, per costruire una società veramente evoluta e civile, sia necessario ricordarsi che tutti devono poter avere accesso al superfluo, alla perdita di tempo improduttiva, alla possibilità di fermarsi un momento, ogni tanto, per pensare a cose stupendamente, meravigliosamente, necessariamente inutili.

Ricordiamocelo: se i nostri antenati si fossero limitati a fare solo cose utili, non ci sarebbe stata nessuna crescita, nessuna scoperta scientifica, niente di niente: era utile, per l’’homo habilis dal quale discendiamo, soltanto mangiare, accoppiarsi e ripararsi dal freddo. Ma l’’homo habilis è diventato homo sapiens proprio perché, finito che aveva di mangiare e dopo essersi accoppiato, prima di addormentarsi nel suo angolo di caverna qualcuno ha cominciato a pensare. Gli altri gli avranno detto di piantarla di guardare nel vuoto senza fare niente, ma lui ha insistito.

E così ha capito come gestire il fuoco, ed ha imparato che coprendosi di pelli si stava più caldi; e poi si è messo a dipingere sulle pareti della caverna; e poi, guardando il sole, la luna, e le stelle nel cielo, stupefatto si è chiesto: “chi ha fatto tutto questo?” E sono nate, in embrione, le scienze speculative e filosofiche.

Ricordiamocelo: dietro ognuna delle cose utili che maneggiamo ogni giorno –- dalla tastiera del PC al frullatore in cucina, alle lenzuola del letto, agli occhiali da sole -– c’è una tecnologia; e qualsiasi tecnologia è frutto, prima che delle mani di chi se ne serve, del pensiero di qualcuno che sulle prime è stato chiamato fannullone dagli altri.

Viva l’’inutile, dunque: una delle cose che dobbiamo coltivare con cura – e con piacere – per poterci davvero sentire “esseri umani”.

Giuseppe Riccardo Festa

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