E perché mai?

Quella sera di metà novembre ero a casa come mio solito dopo cena a scrivere

Quel viaggio non era stato mai previsto. Perché lungo e faticoso. Per giunta di sera tardi. Eppure nella mia mente c’era da tempo un presentimento che forse avrei dovuto seguire.

Lasciavo sempre l’auto in garage con il serbatoio pieno. Non ero capace di uscire e tornare senza passare prima dal distributore.

Una vecchia abitudine che mi faceva compagnia da lungo tempo che in fondo mi rendeva tuttavia ridicolo agli occhi di tanti.

Quella sera di metà novembre, da poco erano passate le festività dei morti, ero a casa come mio solito dopo cena a scrivere.

Un atto liberatorio che mi rilassava e ormai occupava la quasi totalità del mio tempo libero. Non riuscivo a rinunciarci.

Egoisticamente mi servivo di quello spazio, che difendevo da tutto e tutti, per liberare la mia mente. Un esercizio lento che accomodava i miei pensieri. Perché la scrittura per me era un modo per tradurre la mia vita, provando a renderla più felice e leggera.

Fuori pioveva. Il primo freddo si faceva sentire, ma mi ero già attrezzato per affrontarlo. Nella ciclicità delle stagioni l’autunno, che sconfinava nell’inverno, era il periodo che preferivo.

Avevo da poco guardato il cellulare se nel frattempo avessi ricevuto qualche messaggio. Non li aspettavo, ma spesso qualcuno si serviva delle ore serali, e di maggiore calma, per inviare quello che non era riuscito durante il giorno.

La circostanza mi prendeva. Mi intrigava tanto al punto anche di tirare tardi colloquiando con un amico nel pieno silenzio della casa. Dove abbassare inevitabilmente il tono della voce rappresentava un beneficio quasi impagabile.

Suonò all’improvviso il telefono di casa. Suono per me insolito. Quasi non riconoscevo più la suoneria.

Ormai più nessuno chiamava sul fisso. Alzai la cornetta e dall’altra parte sentii: “Vieni, ti aspetto. Non lasciarmi qui”.

Subito riattaccò. Rimasi sconcertato. Non mi aspettavo di sentire quella voce flebile, ma decisa. Con le ultime forze che aveva dentro. Sapevo che aveva fatto fronte a tutto quello che aveva, ma mai avrei pensato mi chiamasse a quell’ora.

Perché mi chiesi? Ciò nonostante in quel momento non mi seppi dare una risposta che mi convincesse.

Erano più di venti anni che non ci sentivamo. Tutto era finito all’improvviso. Senza un vero perché, ma era finito e questo sentimento mi rattristava. Non avrei mai pensato che così finisse.

Ma non c’era giorno che non mi passassero davanti agli occhi i momenti vissuti con lui. La spensieratezza della giovinezza. Le prime emozioni. Se volessi fotografare quegli anni in un pensiero.

Non c’era tanto da pensare: la gelosia quella brutta nemica.

Decisi che sarei partito. Sentivo che dovevo farlo. Il cuore mi batteva a mille e avevo anche un po’ di paura. Subito immaginai cosa mi aspettava. Un viaggio in una notte buia per arrivare alle prime luci dell’alba.

Di fretta e furia composi una piccola valigetta, presi le chiavi dell’auto e scesi di corsa verso il garage. Avevo dimenticato l’ombrello, ma non pensai a risalire.

Non incontrai nessuno per strada. La serata certo non invogliava ad uscire. Una volta in auto partii. Avevo la benzina a sufficienza per arrivare a destinazione.

I ricordi mi fecero compagnia. Pensai al primo giorno che ci incontrammo. Era all’asilo e ci conoscemmo perché vicini di banco. Da quel momento non ci staccammo più. Malgrado ciò un giorno avvenne.

La pioggia era battente. A tratti la visibilità era ridottissima. Pensavo di fermarmi. Ma avevo un pensiero fisso dovevo arrivare prima che facesse giorno e la strada era ancora lunga.

Mi aiutavo a tenermi sveglio pensando a quello che avevamo combinato. Il pallone era il nostro forte.

Giocarlo in casa era una sfida. Aspettavamo di restare da soli a casa sua. Una casa immensa per ospitare la sua numerosa e accogliente famiglia.

Io a fare il portiere lanciandomi ad afferrare il pallone sui divani del salone che era immenso. Li tutto era grande per me che ero piccolo e che venivo dall’essenziale. Una immagine che mai dimenticherò. Saltavo come una molla da un punto ad un altro.

Nel frattempo i cartelli stradali segnavano i chilometri che mancavano. Sembravano sempre tanti. Mi prese un gran freddo.

La pioggia si fece insistente e il rumore dei tergicristalli divenne insopportabile. A tratti lungo e rumoroso.

Guardavo il contachilometri e avevo timore di accelerare. La tensione mi prese.

Centrai che avevamo perso una occasione. Perché non lo sapevo. Avevamo rotto un filo che univa le nostre vite che si erano incrociate per il passato.

Forse il mio rammarico avrebbe dovuto avere più gambe per rompere un silenzio che non aveva motivo di segnare, in modo definitivo la brutta interruzione di ogni legame.

Quel viaggio, l’abitacolo dell’auto divennero un momento insopportabile. Che mi fece sbattere contro la vita. Il suo valore e quello che forse mi ero perso o meglio c’eravamo persi. Perché i colpevoli eravamo entrambi.

Incomprensioni inutili che quel viaggio mi rilevò tutte e all’improvviso. Quando forse bisogna fermarsi prima a pensare e non poteva essere stata quell’auto e quel viaggio a farmele rilevare, in modo così brusco e traumatico.

Avrei voluto tanto che il nastro si fosse riavvolto al contrario. Ma non era più possibile.

Arrivai tardi, e il tardi si paga e quel viaggio non mi permise di recuperare crudelmente il tempo perduto.

Forse me ne sarei dovuto accorgere molto prima. Al resto ci sarebbe stato sempre tempo!

Nicola Campoli

 

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