DIFENDIAMO LA FORMIDABILE ROCCA DEI RUFFO E DEGLI SPINELLI, IL PIU’ PREZIOSO DEI NOSTRI BENI ARCHITETTONICI

Acquerello dell'arch. Saverio Liguori (1980)
Acquerello dell'arch. Saverio Liguori (1980)

La cinta urbica quattrocentesca di Cariati, l’unica della Calabria interamente conservata in tutto il suo perimetro, è, però, da sempre, poco rispettata e tutelata, nonostante rappresenti il bene culturale più emblematico e prestigioso della nostra città. Eppure, potrebbe costituire, se recuperata e valorizzata, un grande motivo di richiamo turistico non solo per i villeggianti estivi, ma in ogni periodo dell’anno.


di Franco Liguori
( presidente Sezione Regionale CALABRIA-
Società Italiana Protezione Beni Culturali)


La problematica dei centri storici e della necessità del loro recupero anima ormai da anni accesi dibattiti non solo in ambito strettamente politico, ma anche nel mondo della cultura e dell’informazione delle nostre comunità calabresi, con crescente partecipazione dei cittadini, non più rassegnati a considerare i vecchi abitati come cittadelle destinate ad una naturale ed inesorabile decadenza. Oggi non c’è chi non si renda conto dell’importanza, non solo storico-culturale, ma anche economica, dell’immenso patrimonio rappresentato dagli antichi agglomerati urbani, da chiese, da conventi e oratori abbandonati o in stato di degrado, da resti di cinte murarie medievali, da vecchie dimore gentilizie anch’esse in stato di abbandono, da piazze, vicoli, gradinate e porticati un tempo animati dalla presenza di una popolazione numerosa e vitale, e oggi deserti e lasciati cadere in rovina o deturpati da frequenti episodi di interventi anomali inopportuni, che tolgono identità al vissuto storico naturale dei paesi e compromettono l’integrità di questi luoghi della memoria e della storia. Come sosteneva Alessandro Bianchi (già docente di Urbanistica alla Facoltà di Architettura dell’Università di Reggio Calabria), in un convegno di qualche anno fa sui centri storici minori del Mediterraneo, “la peculiarità di questi centri urbani non è data dalla presenza di grandi episodi monumentali, che pure esistono, ma dal tessuto connettivo in cui questi episodi sono collocati, in intimo contatto con l’edilizia corrente, con le piazze, le vie, i percorsi murati, ecc..”. Recuperare un centro storico, per Bianchi, “più che un fatto tecnico, è un’operazione culturale, e gli architetti preposti al recupero devono intervenire sul tessuto urbano con molta cautela, conservando il vecchio abitato nel suo complesso come luogo della storia, da rispettare nella sua totalità, ma anche come luogo della memoria di ciascuno che lì è nato ed è vissuto, da conservare e da non modificare”. Queste riflessioni di Alessandro Bianchi ci trovano pienamente d’accordo: i “luoghi” sono molto importanti e vanno rispettati; essi fanno parte della realtà e dell’immaginario collettivi. In letteratura e nell’arte in genere il luogo ben definito spazialmente di uno scrittore, può diventare metafora del mondo, può assumere valore universale, può persino perdere qualsiasi connotato di fisicità per assurgere a puro simbolo. Ma la problematica dei centri storici ha anche una dimensione “antropica”, che coincide con quegli aspetti che attengono alla politica, al territorio, alla società di quegli antichi abitati, un tempo floridi centri di vita associativa ed oggi a rischio di diventare “città morte”. Per l’antropologo Vito Teti i luoghi “si solidificano nella dimensione della memoria di coloro che vi hanno abitato, fino a costituire un irriducibile elemento di identità, vivono di una loro fisicità, di una loro corposa e materiale consistenza”. L’opportunità di valorizzare i “borghi antichi” della Calabria, ma anche di altre regioni italiane, è divenuta ormai una grande necessità. Gli antichi borghi calabresi, e tra questi un posto importante va riconosciuto alla nostra Cariati con la sua cinta muraria quattrocentesca ancora intera per tutto il suo perimetro, anche se non sempre ben conservata, sono gli “scrigni della nostra civiltà”, e dovremmo tutti impegnarci a riscoprirli, difenderli, custodirli gelosamente, rivitalizzarli. Purtroppo tutto questo è mancato, e non da oggi, da sempre, nella nostra cittadina, le cui antiche mura subiscono “assalti” fin dai primissimi anni del Novecento, pur esistendo, fin da allora, una legge che ne riconosce il valore di monumento storico e ne vieta la manomissione. In un documento della Soprintendenza ai Monumenti di Napoli,che aveva, a quell’epoca, competenza anche sulla Calabria, datato 31 marzo 1924, si legge di una “notifica d’importante interesse comunicata al Commissario prefettizio del Comune di Cariati per l’interesse storico delle mura feudali, in applicazione alla legge 20 giugno 1909 n.364”. In una lettera inviata nel 1926 al prefetto di Cosenza dal Soprintendente per l’Antichità e l’Arte della Calabria e della Lucania, Edoardo Galli, si legge chiaramente l’importanza riconosciuta alla cinta muraria quattrocentesca di Cariati e si fa denuncia della “trascuratezza” delle locali amministrazioni a difenderla. Eccone un brano : “Fra tutti i paesi della Calabria esso è uno dei pochi che ancora conserva le nobili e poderose vestigia di borgo fortificato. Per trascuratezza delle locali amministrazioni e per difetto di severe leggi protettive delle antichità, nei tempi trascorsi le vetuste mura di Cariati vennero in più punti coronate da palazzi e da modeste case di abitazione; ma al di sotto delle nuove costruzioni la cortina di difesa si è mantenuta dovunque visibile, nonostante qualche deturpazione ed alterazione in alcuni tratti. Queste mura d’origine medievale e feudale appartengono sicuramente al Comune, e non già ai proprietari delle case sopraelevate. La legge vigente (del 20 giugno 1909, n.364) fa espresso obbligo ai Comuni e a tutti gli altri enti pubblici di qualsiasi genere di avere cura e di conservare integre le cose antiche – mobili e immobili di loro proprietà, senza bisogno da parte dello Stato (e per esso delle Soprintendenze ed organi dipendenti) di notificarne l’importante interesse storico, archeologico, artistico. Ciò nonostante, il Comune di Cariati fu “ad abundantiam” legalmente diffidato ad aver cura delle “mura castellane”, impedendone la ulteriore manomissione e deturpazione”. Come si può rilevare da quanto scrive il soprintendente Galli, le amministrazioni comunali di Cariati non hanno mai tenuto nella giusta considerazione le mura storiche e non ne hanno tutelato l’integrità, nonostante le leggi esistenti in materia, come quella emanata durante il fascismo: la n. 1089 del 01/06/1939 , ancora oggi vigente e alla quale sono sottoposte anche le nostre mura medievali per il loro “particolare interesse storico-artistico”, che ha fatto sì esse che venissero inserite nel 1938 da Alfonso Frangipane (storico dell’arte calabrese) nell’Elenco degli Edifici Monumentali della Calabria, edito dal Ministero dell’Educazione Nazionale. L’interesse storico-artistico e il valore ambientale del nostro centro storico sono ribaditi anche nel Piano Regolatore Generale del nostro Comune, redatto nel 1986 dall’architetto Saverio Liguori, in cui all’art. 3 delle “Norme di attuazione” così si legge: “La zona A ricopre interamente il centro storico circondato dalle mura medievali, al quale si riconoscono particolari valori storico-ambientali. In tale zona è, quindi, prescritto il rispetto dell’antico tessuto urbano, consentendo esclusivamente opere di ristrutturazione della struttura interna e di risanamento igienico degli edifici. E’ invece tassativamente vietata la costruzione di balconi o di bovindow o di quanto possa contribuire a variare il perimetro, il volume e il disegno dei prospetti”.
Diamo ora qualche cenno storico-artistico che faccia capire perché le nostre antiche mura sono importanti.

Aspetti storici e caratteristiche architettoniche della cinta urbica medievale di Cariati
Caratteristica tipica del centro storico di Cariati è quella di essere ancora, unico centro in Calabria, interamente racchiuso da una cinta urbica in buono stato di conservazione, le cui origini risalgono all’epoca della dominazione bizantina in Calabria. Ai Bizantini, infatti, si deve la prima fortificazione della collina sulla quale insiste il borgo medievale, mentre le mura che oggi vediamo, con i suoi otto torrioni, sono state edificate nel XV secolo, utilizzando le preesistenze bizantine. Sono mura che risalgono, quindi , al periodo aragonese, allorquando il paese era un feudo della potente famiglia dei Ruffo- Marzano. Si deve proprio alla munificenza della famiglia Ruffo e, in particolare, della principessa Covella, che per Cariati ebbe una particolare predilezione, tanto da fissarvi la sua residenza, il consolidamento del vecchio kastron bizantino di Cariati, con l’edificazione di una cinta muraria bastionata, costruita, con ogni probabilità, sulle fondamenta della fortezza bizantina.
La cinta muraria quattrocentesca, inframezzata da otto torrioni, alcuni di forma semicircolare ed altri poligonali, dà al paese appollaiato sulla collina in vista del mare, l’aspetto suggestivo di un “borgo turrito” medievale, ed è la meglio conservata di tutta la regione. Con i suoi bastioni di blocchi cordonati, i torrioni tronco-conici e poligonali, le cortine protezionali ampliate verso il mare, la cinta urbica cariatese s’ispira al principio difensivo della “muraglia bastionata”, molto seguito nel XV secolo dagli architetti militari aragonesi, come Francesco di Giorgio Martini, che progettò i castelli di Castrovillari, di Crotone e di Corigliano. Il materiale col quale sono state costruite le mura di Cariati, è costituito principalmente da ciottoli di fiume, ma non mancano i blocchi di pietra squadrata, insieme a frammenti di laterizi e a blocchi di arenaria, quest’ultimi usati per la costruzione delle feritoie. I cordoli che dividono la scarpa dal tronco della cinta muraria e delle torri, sono stati realizzati con mattoncini in cotto, arrotondati su un lato, che fanno un bell’effetto cromatico. Per Francesca Martorano, studiosa delle architetture militari in Calabria, tipologicamente, le mura di Cariati e le sue torri si possono collocare tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, ma la loro realizzazione dovette avvenire in più fasi. Non si conosce il nome dell’architetto-progettista, ma dovette trattarsi, come dimostra l’imponenza della costruzione, di un abile ingegnere militare esperto nella progettazione di apprestamenti difensivi, al servizio degli Aragonesi, che tanti castelli, torri e cinte murarie eressero in tutto il Regno di Napoli, a difesa delle zone costiere , bersagliate, a quel tempo, dalle incursioni della pirateria turco-barbaresca. La cortina cinge tutto il borgo arroccato sulla collina e si estende per circa un kilometro di lunghezza; è priva di merlature e intervallata da otto bastioni, collocati nei punti nevralgici dell’apparato difensivo. L’accesso principale al borgo fortificato era assicurato, originariamente, da una porta monumentale, collocata sul lato orientale della cinta urbica, quello che guarda verso il mare ( e perciò detta “porta marina”), nella zona denominata nel dialetto locale Pilè. Lì si ergeva un ponte levatoio, tanto è vero che ancora oggi, a distanza di secoli, quel luogo è ancora indicato dai cariatesi con l’espressione “’U pontu”, cioè “il ponte”. Una seconda porta di accesso alla città (la “porta di suso”, cioè “di sopra”, come è chiamata negli antichi documenti), si trovava sul lato della cinta urbica che guarda verso Terravecchia, sito oggi denominato “Porta Pia” o “Ponte Nuovo” (probabilmente perché anche qui, come al Pilè, c’era originariamente un fossato e un ponte levatoio). I torrioni sono costruzioni molto massicce, conformate nella parte bassa, per offrire il minor bersaglio possibile all’offesa delle bombarde. All’interno, gli spazi utili, raggiungibili attraverso ripide scalette, sono molto ridotti, larghi quanto basta per consentire il movimento delle guardie che vi sostavano per vigilare su eventuali attacchi provenienti dal mare, ai quali rispondevano col tiro delle artiglierie, infilando le punte dei loro cannoni attraverso le feritoie, che ancora oggi si vedono sia all’interno che all’esterno dei torrioni. Le otto torri o bastioni si differenziano tra loro per dimensioni, forma e stato di conservazione; quattro sono di proprietà del Comune ed altre quattro appartengono a privati. Il torrione meglio conservato è quello denominato Torrione degli Spinelli, perché fatto costruire dagli Spinelli, principi di Cariati, durante il periodo del vicereame spagnolo (prima metà del XVI secolo), a difesa della loro dimora, che era ubicata là dove ora c’è il palazzo Venneri, costruito nell’Ottocento sulle sue rovine, ed oggi adibito a sede del Municipio. Nel corso di recenti lavori di restauro di un tratto della cinta urbica quattrocentesca, quello sottostante al Municipio e prospiciente il mare, il torrione degli Spinelli, è stato recuperato e reso accessibile anche nella sua parte interna. Poco si sa dell’interno degli altri torrioni, perché sono mancate, negli anni, indagini esplorative di studiosi o archeologi, che ne svelassero i segreti. Pare, comunque, che ciascuno di essi era dotato di una “piazzuola” alla sommità, per la manovra delle artiglierie destinate al fuoco offensivo, mentre all’interno, in anguste “casematte” munite di feritoie, erano ospitati i pezzi destinati al tiro di fiancheggiamento, cioè al tiro difensivo di protezione delle mura. I vani sotterranei dei torrioni, attualmente murati e inaccessibili,dovevano servire, probabilmente, anche come depositi di armi e come luoghi di rifugio nei momenti di pericolo, né si può escludere che dei camminamenti segreti collegassero tra loro gli stessi torrioni. L’ apprestamento difensivo di Cariati, nonostante i danni subiti , negli anni, da vari episodi di abusivismo edilizio che ne hanno deturpato, in alcuni punti, la bellezza, resta un raro esempio (unico in Calabria) di cinta urbica medievale, il cui paramento murario in pietra si presenta continuo lungo tutto il suo perimetro e in tutta la sua imponenza. Uno studioso calabrese degli inizi del Novecento, Gaetano Gallo, nel visitare la fortezza di Cariati, pensando ai feudatari che hanno dominato sulla cittadina e ai quali si deve la fortificazione del borgo medievale, i Ruffo prima (XV secolo) e gli Spinelli dopo (XVI-XVII), ebbe a definirla in un suo articolo: “la formidabile rocca dei Ruffo e degli Spinelli”. A distanza di secoli, il vecchio borgo con la sua cinta muraria quattrocentesca, notata e segnalata dai numerosi viaggiatori del Grand Tour che l’hanno visitata tra Settecento e Ottocento, affascina ancora oggi il turista, e non solo. Nel 2002 l’ANCI (=Associazione Nazionale Comuni d’Italia), ha inserito il borgo fortificato di Cariati nella ristretta rosa dei Borghi più belli d’Italia, una sorta di club di prestigio che riunisce i centri d’Italia, piccoli e grandi, che si segnalano unanimemente per la loro storia e le loro bellezze architettoniche, artistiche e paesaggistiche. In considerazione della peculiarità del suo centro storico e del suo discreto stato di conservazione, a Cariati hanno dedicato ampi servizi illustrativi delle sue risorse storico-artistiche e delle sue bellezze naturali, prestigiose riviste specializzate, come Bell’Italia, Plein Air, Mytos, che evidenziano in modo particolare, come principale bene architettonico, l’imponente e suggestiva cinta muraria quattrocentesca, che merita, pertanto, il massimo rispetto, in quanto testimonia in modo eloquente la plurisecolare importante storia del nostro amato borgo medievale affacciato sullo Jonio, che ancora aspetta di essere valorizzato !

Per saperne di più sulla cinta muraria e gli altri beni culturali di Cariati :

F. LIGUORI- ” Cariati. La formidabile rocca dei Ruffo e degli Spinelli”, Corigliano C. 2013, pagg.160

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