Chi ride e chi no

I miei ventiquattro lettori mi perdoneranno se, trascurando il fiume di notizie sconvolgenti che arrivano dalla Palestina, dall’Ucraina, dalla Nigeria e dalla Libia, e il rivoletto di consueta follia che, a Roma, zampilla giù da Palazzo Madama, oggi concentro la mia attenzione su due notizie apparentemente frivole, unite dal fatto di riguardare le donne e di essere diametralmente contrapposte l’’una all’’altra.

Entrambe le notizie riguardano delle serie di fotografie apparse sui giornali on-line. Nella prima delle ragazze, con le motivazioni più diverse, si dichiarano contrarie al femminismo: una, per esempio, afferma che le piace vedere gli uomini cederle il passo o la sedia, o aprirle la porta se deve uscire; un’’altra si dichiara fiera di essere moglie e madre e di onorare il marito che si sacrifica lavorando per la famiglia, un’’altra ancora dice che a lei piace essere diversa dagli uomini, e che il femminismo uccide la femminilità.

La seconda notizia arriva dalla Turchia, il cui vice primo ministro ha severamente criticato il fatto che le ragazze turche osino ridere e sorridere in pubblico, dimostrando così di non possedere un adeguato senso del pudore islamico: a suo dire, esse dovrebbero arrossire, abbassare lo sguardo e volgere il capo altrove se qualcuno –- ovviamente un maschio -– dice qualcosa che muova al riso. Molte ragazze turche hanno reagito pubblicando foto di se stesse -– oltre che abbigliate in modo tutt’’altro che islamico –- con smaglianti sorrisi e risate stampati sui visi.Mi è venuta in mente una pubblicità di tanti anni fa, un Carosello nel quale una bella moretta se ne andava in giro sfoderando continuamente un sorriso a trentadue denti, accompagnata dalla voce di Enzo Jannacci che, va da sé, cantava la sua “Rido”.

La prima notizia, quella delle donne contrarie al femminismo, si sposa a sua volta con un’’altra, quella delle pensioni che – in Italia quando sono erogate, appunto, alle donne, nella metà dei casi non arriva a mille euro. E infatti, le ragazze in questione non sono italiane: sono americane. Mi viene da chiedermi se quelle ragazze siano consapevoli del fatto che, se possono esprimersi così liberamente contro il femminismo, è proprio per il fatto che il femminismo c’’è stato e c’’è.

Intanto il femminismo, per quanto mi risulta, non rivendica l’’uguaglianza ma la parità fra uomini e donne. Se rivendicasse l’’uguaglianza lo osteggerei anch’io; ma uguaglianza e parità non sono la stessa cosa. Pretendere l’’uguaglianza significherebbe negare l’’evidenza: le donne sono fisicamente più piccole, hanno una muscolatura meno sviluppata, hanno vistose -– e gradevoli –- differenze rispetto agli uomini nell’’aspetto, oltre che nelle funzioni fisiologiche.

Ma ciò non toglie che nessuno ha il diritto di tarpare loro le ali, di impedir loro di realizzarsi come vogliono, di vivere come preferiscono: ossia, di fare ciò che gli uomini hanno sempre fatto. E questa è la parità.

Quella parità che, statistiche alla mano, ad esempio qui in Italia sono ben lungi dall’’aver conseguito. Tuttavia, grazie alle leggi oggi vigenti, dovute anche all’’attivismo delle femministe, oggi possono liberamente scegliere se essere madri e mogli, o madri e basta, o né madri né mogli; e, diversamente da ciò che accade in Paesi come la Turchia, nessuno, grazie all’’evoluzione dei costumi dovuta anche al femminismo, si sogna di invitarle ad arrossire, abbassare gli occhi e distogliere lo sguardo se qualcuno le induce al riso o al sorriso.

In ogni caso, l’’allusione del vice primo ministro turco alla morale islamica mi fa pensare che la stupidità di certi punti di vista è spesso legata a un certo modo delle religioni di intendere la moralità tutta legata, in definitiva, ad un’’idea delle donne che le vede esclusivamente come oggetti di desiderio sessuale e, in quanto tali, obbligate a dimostrare sempre e in ogni luogo che loro quel desiderio lo respingono, lo rifiutano e l’’aborriscono: secondo quel concetto della morale, le donne possono (e devono) fare l’’amore solo se e quando a ciò chiamate dal loro legittimo marito, obbedendo ad un dovere e mai –- Dio guardi -– soddisfacendo un desiderio di piacere.

A questo si somma, sempre secondo quel certo modo delle religioni di intendere la moralità -– non solo delle donne, ma in generale – un approccio al riso ed a tutto ciò che col riso ha a che fare come a qualcosa di sospetto, quando non turpe. Proprio su questo approccio al riso si fonda il primo e in assoluto il più bello dei romanzi di Umberto Eco, “Il nome della rosa”.

Eppure, strana ironia dell’’evoluzione, insieme alla religione è proprio il riso a costituire il più grande tratto distintivo che separa la nostra da tutte le altre specie animali. Ma ridere, ogni potente o aspirante tale lo sa, è una cosa pericolosa: genera indipendenza di pensiero, capacità di critica, autonomia e superamento delle barriere gerarchiche.

Per secoli, in Europa, a giullari e saltimbanchi è stata negata la sepoltura in terra consacrata. Venendo a tempi più recenti, l’’ayatollah Khomeini e il vescovo integralista Lefebvre non ridevano mai. George W. Bush era serissimo quando lanciava i suoi proclami contro Osama Bin Laden, né rideva Osama Bin Laden quando con l’’indice teso concionava il mondo dalle sue videocassette.

Diversissimi per tanti versi, quei due signori erano identici per la loro totale incapacità di autoironia e il loro moralismo cieco ed ottuso: quel moralismo che spesso poi induce a piegarlo, l’’indice teso, intorno al grilletto di un fucile.

Onore, dunque, alle ragazze turche che hanno risposto con una risata alle stupide affermazioni del loro vice primo ministro. È la risposta che meritano tutti coloro che nel nome di un concetto ottuso e liberticida della moralità opprimono il prossimo, preferibilmente le donne. Non c’è bisogno di arrabbiarsi, di scendere in piazza e men che meno di impugnare le armi: basta rispondere con una risata. Una risata li seppellirà.

O almeno, lo spero.

Giuseppe Riccardo Festa

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