Cataldo Perri. Combatto il cancro, anche, col ritmo della Tarantella.

“Della vita non va sprecato nemmeno il tempo della sofferenza e del dolore”

Cataldo Perri ama dire che per mangiare fa il medico di famiglia (e lo fa anche bene, visto che segue ben 1500 assistiti) ma per vivere fa il musicista e lo scrittore.

Colpisce, del dottor Cataldo Perri, la capacità che ha di cogliere, nelle cose, gli aspetti sostanziali e di esaltarli e valorizzarli: prima di tutto, di questa capacità, sa avvalersene nell’esercizio dell’attività più importante di tutte; un’attività che riguarda ognuno di noi ma alla quale badiamo poco, forse perché la diamo per scontata, mentre invece rappresenta il nostro bene più prezioso, anche perché è l’unico, che ciascuno di noi possiede veramente: la vita.

Cataldo Perri ha capito che la cosa più importante al mondo è saper vivere la propria vita.

Indubbiamente, una capacità del genere bisogna avercela in dotazione dentro il patrimonio genetico, ma non si può escludere di acquisirla cammin facendo. Lui, sicuramente, la possiede dalla nascita, ma altrettanto sicuramente le ha dato un maggiore impulso e significato proprio nel momento in cui ha scoperto di avere addosso una di quelle malattie che della vita sono le nemiche più odiose: un tumore al pancreas che lo ha portato dall’altra parte della barriera facendo di lui, medico, un paziente; ma un paziente capace di guardare sé stesso, e l’evoluzione della propria malattia, con l’occhio clinico del medico e quello positivo del poeta. Vedendosi in più costretto, a causa della carenza nel centro-sud del Paese di strutture sanitarie adeguate alla cura di questo male, a sperimentare il “turismo sanitario“.

C’è modo e modo di reagire, quando si apprende di avere addosso una bestiaccia come un cancro al pancreas. Già la stessa parola, “cancro“, tantissimi hanno addirittura paura di pronunciarla; molti, chissà perché, se ne vergognano. Al pancreas, poi, non ne parliamo: perfino i medici, per quanto si prodighino per curarlo, guardano il paziente un po’ come uno che ha già addosso la data del suo funerale. Gli stessi malati, molto, troppo spesso, si lasciano prendere dallo sconforto e dalla disperazione.

Spesso, certo, ma non sempre. E comunque, di sicuro, non nel caso del cantautore, scrittore e anche dottore Cataldo Perri, che a dispetto della malattia (o magari, proprio per far dispetto alla malattia) e del suo ripresentarsi, ha continuato a seguire i suoi pazienti e (soprattutto, direbbe forse lui) è riuscito anche a pubblicare due romanzi e due dischi.

 

Qui di seguito, ecco come, Cataldo racconta la sua esperienza in una intervista rilasciata alcuni giorni fà.

Come hai scoperto di avere un tumore al pancreas?

Era la fine di settembre del 2010. Cominciai ad avvertire uno strano peso sullo stomaco e degli spasmi intestinali inconsueti, di brevissima durata. Un giorno mi ero appena fermato con l’auto per andare a visitare una mia paziente a domicilio, quando avvertii uno di questi spasmi ai fianchi. Finita la visita mi recai all’ospedale di Cariati e un collega mi fece una ecografia addominale. Lui non vide nulla di strano, ma gli chiesi se il pancreas fosse indenne da formazioni sospette. Mi rispose che la testa del pancreas si vedeva bene e non rilevava nulla di anomalo ma i gas intestinali gli impedivano di vedere bene il corpo e la coda. Il giorno dopo feci i marcatori oncologici, fra cui il CA 19.9, che risultò alto (200 circa). Dopo pochi giorni mi recai in una clinica di Bologna per fare esami più approfonditi.

Qual è stata la diagnosi?

Dopo la TAC e la risonanza magnetica mi fu diagnosticata una neoplasia corpo-coda del pancreas, confermata poi anche all’ospedale di Negrar, Verona, con una biopsia. Senza scendere nei dettagli tecnici, il tumore interessava il corpo-coda pancreas ma non i vasi circolatori e i linfonodi.

Come ti è stata comunicata la diagnosi?

«Urca!!!» disse l’ecografista di Bologna, che poi tentò di parlare d’altro; già questo mi fece capire che la cosa era seria. Ne ebbi la conferma dopo la biopsia al Negrar. Il medico che mi diede la notizia confermò la natura della lesione. «Sarà dura», aggiunse.

Qual è stato il percorso di cura?

Ci fu chi mi propose di fare subito la chemioterapia ma volli sentire anche il parere del prof. Alessandro Zerbi, chirurgo pancreatico  dell’Humanitas di Rozzano. Fu un incontro che diede una svolta al mio stato d’animo, alle mie speranze ed alla mia storia clinica. In mancanza di metastasi evidenti, con grande sensibilità e tatto professionale Zerbi mi propose di intervenire subito; accettai, e così il 24 Novembre 2010  mi operò  di spleno-pancreasectomia distale per carcinoma al corpo coda del pancreas.

Parole che mettono paura già solo a sentirle. E come andò?

Prima dell’intervento, il valore del Ca 19.9  era a 900;  dopo  scese a 10. A Gennaio 2011, due mesi circa dopo l’intervento, ho cominciato la chemio, che è andata avanti fino al Giugno 2011. Le successive visite di controllo, con annessi esami del sangue e radiologici, non hanno evidenziato alcuna ripresa della malattia fino a luglio 2014 in cui si manifestò un nuovo incremento del marcatore Ca 19,9. Da quel momento in poi ripresi a fare dei cicli corposi di chemioterapia fino a ottobre 2016 quando fui operato per una lesione epatica. Dopo il nuovo intervento ancora  chemio e infine un ciclo breve di radioterapia.

Oggi, a distanza di otto anni dai primi sintomi, cosa ci puoi dire?

Che di fronte a una diagnosi di tumore del pancreas non bisogna assolutamente perdere la speranza e che ogni storia clinica è una storia a sé. Per fortuna ora nei centri di eccellenza si studia la genetica del tumore proprio per mettere a punto terapie personalizzate più efficaci cercando di evitare sovradosaggi terapeutici inutili e dannosi.

Ricordo che in occasione del primo intervento chirurgico, non appena mi sono svegliato dall’anestesia, la prima cosa che ho fatto è stata di muovere il mio braccio destro: ho voluto verificare subito se potevo ancora suonare la mia amata chitarra battente. Credo che le passioni, l’arte in generale e il nutrirsi di bellezza, insieme all’attività fisica, sia un valido supporto alle terapie tradizionali, per combattere ogni male e il cancro in particolare.

Nel 2014, a distanza di 4 anni dall’intervento, su invito del professore Zerbi ho presentato all’Auditorium dell’Humanitas lo spettacolo letterario/musicale Ohi dotto’!, farcito di leggerezza e ispirato al mio libro di ricordi in cui, tra l’altro, racconto la mia storia di medico che passa dall’altra parte e diventa un paziente. E’ stato emozionante, per me, tornare in una veste del tutto diversa nello stesso posto dove sono stato operato, e portare la mia musica e le letture del mio libro davanti ad un uditorio straordinario composto da medici e pazienti. Come a sancire che in un posto dove abbiamo vissuto una esperienza di dolore si possa piantare un seme di speranza e  un progetto d’arte e di vita. E un piccolo morso di felicità. Questa esperienza mi ha confermato che l’unica eternità che ci è riservata è quella di non sprecare la nostra vita. Il tempo, da quando conVivo con la mia patologia, ha un valore ancora più prezioso. In questi anni ho prodotto due dischi e due romanzi. Conduco una vita normale, lavoro ancora come medico di famiglia, faccio i miei concerti e mi godo l’esaltante  esperienza di poter giocare con i miei due meravigliosi nipotini. E mi convinco sempre di più del fatto che la vita ci sorprende nel Male ma è pronta sorprenderci anche nel Bene e a regalarci un nuovo sorriso.

Certo, però, prevenire è sempre meglio che curare. Da medico e da paziente, vorrei fare un appello al ministro della Salute. La mammografia gratuita ha salvato milioni di donne dal tumore al seno; bisognerebbe fare lo stesso per il tumore al pancreas, offrendo a tutti gratuitamente un’ecografia addominale e il controllo dei marcatori oncologici una volta l’anno, a partire dall’età di 30 anni. Una diagnosi tempestiva, oltre alla ricerca, al momento è l’unica arma capace di sconfiggere le truppe di questo cinico generale.

E ribadisco che bisogna imparare a separare la propria vita dalla malattia. La malattia va combattuta e bisogna credere che la si possa sconfiggere. La vita, quella, va vissuta. Perché ne abbiamo una sola, e se un lato positivo la malattia può avere, beh, quello è proprio di farci capire quanto è importante sorseggiare ogni minuto della nostra esistenza con passione, e con amore. Centellinandola. Chiudo questa mia riflessione esortando tutti gli ammalati, affetti da gravi patologie, a non perdere mai la speranza. E lo faccio con una frase rubata a un personaggio del mio romanzo Malura:

“.. A volte il punto più estremo del dolore lambisce un piccolo solco di felicità, come il punto estremo della notte lambisce il primo timido chiarore dell’alba.”

Buon Anno a tutti in particolare a coloro che con una fragile fionda attaccano le truppe del Generale Cancro. E molte volte si può vincere. Come fece Davide contro Golia.

 

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