Calcio, ultras e antisemitismo: non facciamoci illusioni.

Non è che uno voglia infierire, ma il seguito dell’avvilente episodio che ha coinvolto la memoria di Anna Frank induce a riflettere, anche perché purtroppo la mia osservazione riguardante il mondo degli ultras calcistici ha avuto una triste conferma proprio nel momento in cui, su tutti i campi, una tardiva e pelosa buona volontà dei club e della Federazione cercava di mettere una pezza sul malfatto.

A Torino, Roma, Bologna e Ascoli, durante la lettura di brani del diario di Anna Frank, i supertifosi hanno continuato a fare come gli pare, con cori, saluti romani, assenze e fischi confermando, come già notavo ieri, che la loro fede calcistica è solo il paravento di un’altra fede, quella neofascista, altrettanto becera e ottusa, che si nutre di ignoranza e di negazione della Storia.

E poi la notizia che fra i tifosi laziali identificati per aver introdotto nello stadio ci sono dei minorenni, fra i quali un tredicenne. Non m’illudo che, storditi dal clamore che si è levato a causa di questa squallida bravata, il tredicenne, gli altri minorenni e il resto della banda siano colti da un soprassalto di consapevolezza e contrizione: tutt’altro. Di certo a scuola, o nel bar sotto casa, gli autori del gesto si aggirano fra i loro pari col petto in fuori e un sorrisetto trionfante sulle labbra, gratificati di pacche sulle spalle e congratulazioni: non solo hanno sfottuto gli odiati romanisti, non solo hanno deriso “gli ebbrei”: sono anche diventati famosi! Dietro ogni minorenne del genere c’è tutto un mondo di adulti, a partire dai genitori, che inculca in loro questa pseudocultura, e in questa pseudocultura il rovesciamento dei valori diventa normalità e motivo d’orgoglio.

Sono troppo pessimista? Mi piacerebbe pensarlo, ma l’ipocrisia del presidente laziale Lotito, colto in flagrante mentre dichiarava che il suo omaggio alla Comunità Israelitica Romana non era che “una sceneggiata”, dimostra quanto, in quel mondo, il marcio sia ormai penetrato a tutti i livelli, corrompendolo tutto.

Il mondo del calcio è business, finanza e politica – e quindi cinismo – ai piani alti, violenza e desiderio di rivalsa a quelli bassi, corruzione e frode a quelli intermedi. Perfino nei campetti dove giocano i bambini si riesce a insultare e a picchiare: se non lo fanno i bambini, ci pensano nonni, zii e genitori. Non lo dico io: lo dicono i fatti, la cronaca e la storia. Eppure ci sono ancora delle persone che si ostinano a credere che il calcio sia uno sport. Le rispetto, naturalmente, come rispetto chi crede negli oroscopi e nelle cartomanti.

Le rispetto; ma non posso impedirmi di chiedermi come fanno a crederci.

Giuseppe Riccardo Festa

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