Amara, amara terra mia.

Lo scrivevo qualche mese fa, nero su bianco, su un foglio di carta che avete letto e riletto pensando che, quelle, fossero solo le parole di una semplice ragazza di Paese; parole come tante, una ragazza come tante, una storia, una condizione come tante. Oggi, mi ritrovo invece a fare le valigie, a partire senza avere un idea ben precisa di cosa farò ma solo una destinazione a cui fare capolinea. Oggi mi ritrovo con una borsa in spalla, un lungo viaggio da affrontare, mille pensieri che mi affollano la mente, una sola speranza: poter tornare con una piccola cosa in più rispetto a come sono partita.

Chi sta vivendo la mia stessa condizione – o l’ha vissuta in passato – riuscirà a leggere fra queste righe tutta la speranza, l’incertezza e la rabbia che ho; chi si ferma, invece, solo all’apparenza, chi guarda solo al suo piccolo orticello, chi ha “il suo giro” di amicizie, leggerà invece solo parole di una giovane come tante, di una che non è di certo la prima e nemmeno l’ultima a dover partire. Ho letto, in questi giorni, di qualcuno che mi parlava di “dover camminare con le proprie gambe”, altri che si rallegravano dei propri figlioli che hanno scelto di partire già tempo fa, altri ancora che mi guardavano quasi inteneriti dalle mie parole, dalle mie prospettive appannate, dalle mie aspettative sempre troppo grandi, dai miei occhi sempre lucidi, dalla mia eterna ingenuità.

Ma se c’è una categoria di persone che proprio non sopporto è quella incastrata nella loro vita perfetta, fatta di abitudini perfette, di figli spigliati e intelligenti che “hanno capito già da tempo che qui non c’è nulla da fare”, che guardano alla vita di chi, invece, ha sempre guadagnato tutto con l’onestà e il sudore della fronte e che aspettano ansiosamente di poter camminare con le proprie gambe. Mi verrebbero da dire tante cose a riguardo; ad esempio, mi verrebbe da dire che non tutti abbiamo la possibilità di studiare fuori, non tutti abbiamo sorelle e/o fratelli maggiori che possano, in qualche modo, spianarci la strada, non tutti abbiamo la fortuna di poter inseguire e acchiappare i nostri sogni perché i sogni necessitano, inutile negarlo, di basi economiche che possano tenerli in piedi.

In un’altra vita a 18 anni mi sarei trasferita a Roma, a studiare editoria. In questa vita ho studiato Pubbliche Amministrazioni al Sud, ho conosciuto persone fantastiche al Sud, ho incontrato l’amore vero al Sud, ho incontrato docenti del Nord che oggi mandano un messaggio di auguri ad una semplice ragazza del Sud, mi sono laureata al Sud, ho iniziato a lavorare al Sud, ho coltivato la mia passione, la mia scrittura, al Sud. Non per queste scelte, non perché sia rimasta vicina a casa, non ho camminato o non stia provando a camminare, con le mie gambe.

Vorrei farvele conoscere, le mie gambe, fatte di passi cauti ma sempre decisi; vorrei parlarvi della mia strada, sempre contorta e mai semplice; vorrei potervi parlare di questi 5 anni senza che mi scendi giù una lacrimuccia, vorrei dirvelo che non è tutto oro ciò che luccica, vorrei potervi parlare a cuore aperto di quanto sia difficile fare i conti con 108 aspettative che resteranno – probabilmente – solo aspettative. Allora, solo allora, potrete venire da me e dirmi di camminare con le mie gambe, solo allora, quando conoscerete la mia storia, solo quando penserete che il mio tutto non sarà stato abbastanza, potrete permettervi il lusso di giudicare le mie delusioni, i miei stati d’animo, il mio rammarico per un mondo fatto solo di apparenze, di business, di nomi e cognomi, di amici di amici.

C’è stato anche chi mi ha detto: “non solo hai studiato al Sud, ma ci sei anche rimasta lì.” Era, indirettamente, un darmi della folle. Era indirettamente un dirmi: “ma quanto sei stupida?”.Ecco, anche a loro vorrei dire tante cose ma poi ..servirebbe davvero? Servirebbe spiegare che stare qui spesso non è una scelta? Servirebbe spiegare che, stare giù non significa essere stupidi ma coraggiosi? Che ci vuole coraggio ad alzarsi la mattina e trovare una prospettiva? Andare a lavoro senza una soddisfazione propria, guardare in faccia la soddisfazione di altri senza trovare la propria, di soddisfazione? Come faccio a spiegarvelo, cari miei geni che avete camminato da soli, con le vostre gambe, che a volte le gambe ti vengono amputate senza che tu te ne accorga? Che non esiste più un Sud povero e un Nord benestante, che esistono solo cognomi fortunati e altri sconosciuti?

Questo articolo di oggi, non vuole essere rivolto a nessuno in particolare; è semplicemente il frutto di tante cose sentite, cumulatesi e che, a poche ore dalla mia partenza, sento il bisogno di dire. Per non passare da stupida che si beve tutto ciò che ascolta in giro, per essere considerata – perché ogni persona merita considerazione – e per affermare, pubblicamente, che molto spesso quella considerazione viene miseramente a mancare, per urlare che ci sono troppe mani tese ma nessuna che ti alzi, che ti sollevi dalle sabbie mobili che rendono le gambe pesanti.

Questa è la lettera di una come tante, una ragazza disoccupata come tante, che alle 20.40 partirà con una piccola valigia rossa, che ha deciso che forse il coraggio è per un altro mondo, forse il coraggio deve camminare a braccetto con qualcos’altro per essere retto, forse la bravura non basta, forse l’umiltà, il non chiedere favoritismi, il non pretendere, non è di qui.

Sono le 10.00 di mattina.

Forse è davvero arrivato il momento, Elì.. di andare a fare la valigia.

Elisa Agazio.

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