A proposito di Francia: informarsi prima di parlare.

Non ho mai sopportato le generalizzazioni a un tanto al chilo, forse e senza forse perché ne sono stato vittima anche io: per esempio quando, a New York, un tizio in un ristorante, dopo aver chiacchierato un po’, mi chiese di dove fossi; e quando gli dissi che ero italiano, mi rispose, con un sorrisetto: “Ah, Italian! Italy, mafia…”

Prima ancora, credo di averne già parlato qui su Cariatinet, il mio accento calabrese, da bambino, mi ha costretto più volte a difendermi a suon di pugni da compagni di scuola irridenti e strafottenti, che dai genitori avevano imparato a ridere dei “terroni”.

E quanti nostri padri e nonni emigrati hanno inghiottito umiliazioni, semianalfabeti, grezzi e limitati com’erano, prima di riuscire a integrarsi in quei paesi che pure davano loro il pane per sfamare, giù al paese, le mogli e i figli?

Avendo vissuto lunghi anni in svariati Paesi del mondo, ho imparato una lezione che evidentemente dalle nostre parti, nonostante il passato che abbiamo vissuto, fatica a penetrare nella scatola cranica di un sacco di gente: il nostro modo di vivere, di pensare, di mangiare, di vestire, di relazionarci, non è il termine di paragone e di giudizio di ogni e qualsiasi altro essere umano che vive su questo pianeta. Noi non siamo perfetti, e se gli altri agiscono e pensano in modo diverso non vuol dire che sono peggiori di noi.

Prendiamo i francesi, per esempio.

Non sto dicendo che in Francia tutti sono felici, tutti sono ricchi e nessuno ha motivo di lamentarsi, né che tutti sono eleganti, dotti ed educati. So benissimo che anche là hanno problemi spaventosi, con le banlieues pronte a esplodere, con le difficoltà di tanti giovani (peraltro nati e cresciuti in Francia, e cittadini a tutti gli effetti) figli di immigrati che faticano a integrarsi. Ma prima di inneggiare ai gilet jaunes, cerchiamo di capire che protestano per un aumento dei carburanti alla pompa, peraltro già cancellato, che comunque avrebbe lasciato i loro prezzi ampiamente al di sotto di quelli di casa nostra.

Prima di sghignazzare a spese dei francesi “che non si fanno il bidet”, “che si mettono la baguette sotto l’ascella”, “che sono spocchiosi”, “che sono sciovinisti”, “che ci hanno rubato la Gioconda” e via banalizzando ed elencando luoghi comuni anche falsi, cerchiamo di dare un’occhiata al loro tasso di criminalità ben inferiore al nostro, al loro rapporto laureati/popolazione al nostro molto superiore, al numero di lettori di libri, ai frequentatori di cinema (per lo più coi film proiettati in lingua originale) e teatri, all’amore con cui curano e valorizzano territorio e patrimonio culturale e a tanti altri parametri che dovremmo invidiargli e che supponenti a sproposito, tutti orgogliosi dei nostri spaghetti al dente, noi amiamo invece ignorare.

E se proprio non vogliamo ammettere che dai nostri cugini d’oltralpe avremmo tanto da imparare, prima di sparare ad alzo zero, blaterando di colonialismi e di sfruttamenti che non esistono, contro un Paese che già abbiamo pugnalato alle spalle una volta, cerchiamo anche di ricordarci che in Francia vivono e lavorano diecine di migliaia di nostri connazionali che non hanno nessun bisogno di vedersi crescere intorno insofferenza e antipatia; e che moltissime nostre imprese esportano in Francia beni e prodotti che garantiscono a loro volta, qui in Italia, migliaia di posti di lavoro.

Insomma, prima di parlare e dire stupidaggini, cerchiamo di assicurarci di sapere di cosa stiamo parlando; e di stabilire una connessione fra il cervello e la bocca.

Una precauzione sempre meno di moda, purtroppo, in questo nostro Paese in cui si sta arrivando a ritenere che l’ignoranza sia un titolo di merito e lo studio una stupida e inutile perdita di tempo.

Giuseppe Riccardo Festa

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